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promuove l'armonia psicoemotiva e relazionale nella Persona, nel gruppo e animali d'affezione

   Set 02

Pillole di “felicità” e depressione

 

“Quando cominciai a prendere le pillole mi sentivo meglio…a volte la testa vuota, un po’ su di giri e mi ritrovavo a ridere per cose che, per gli altri, di spiritoso avevano ben poco. gruppoPoi, via, via aumentava quella sensazione di stare dentro un mondo ovattato. Non so come spiegare… Se prima portavo a termine molte cose con una determinazione tale, una grinta, mi son ritrovata poi a non provar più quella voglia, quell’impulso! Facevo le cose non più con passione ma perché le dovevo fare. Non sentivo più quella soddisfazione che provavo prima…”

“Appunto! Io non voglio farmi controllare la testa dalle pillole! Non sono matto!”

“Qui non si tratta di esser matti! Se mio padre non avesse avuto le pillole non si sarebbe manco alzato dal letto. Non aveva forza a far niente. Voleva dormire e spengere il cervello, non pensare più… Da quando aveva perso il lavoro si sentiva un fallito! La vita lo angosciava e voleva farla finita! Così quando è peggiorato di nuovo e i farmaci non funzionavano più, come ultima spiaggia abbiamo dovuto decidere per la TEC e un po’ si è ripreso…”

 “Io soffrivo di attacchi di panico. Insieme alla psicoterapia prendevo le pillole che poi mi hanno sospeso quando gli attacchi son spariti. O meglio, ora quando mi accorgo che ne sta arrivando uno, riesco a gestire da me la situazione e la controllo. Con la mia psicoterapeuta ho raggiunto quella presa di coscienza che mi ha resa più forte e ora posso fronteggiarli da sola e senza pillole!”

Queste possono essere delle considerazioni tratte da un ipotetico gruppo di discussione che condivide le proprie esperienze riguardo agli psicofarmaci.

Gli psicofarmaci sono impiegati per alcuni disturbi psichici e sono necessari quanto l’esattezza della diagnosi. Per esempio i neurolettici o antipsicotici sono adoperati come stabilizzanti dell’umore nel disturbo bipolare o maniaco-depressivo. Hanno un’azione inibitoria a livello dopaminergico per quei sintomi nella schizofrenia quali i deliri, le allucinazioni o comportamenti anomali. Si possono considerare dei sedativi che aiutano la persona nel reinserimento sociale. Quando il dosaggio non è appropriato perchè non costantemente monitorato, se da una parte si attenuano quei sintomi che rendono disfunzionale la persona per sè e per la comunità, dall’altra la si può rendere fin troppo “calma” con grandi difficoltà ad attivarsi e conseguente scarsa volontà e motivazione.

Per quel che riguarda gli antidepressivi del tipo SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina), questi agiscono a livello sinaptico per modulare l’impulso nervoso che inibisce o eccita determinati gruppi neuronali e/o aree cerebrali.  Alla lunga possono attenuare tutte quante le emozioni e chi li assume può avere un modificato esame della realtà del mondo che lo circonda compreso quello interiore, con conseguenze di una certa rilevanza riguardo i suoi atteggiamenti, comportamenti  e motivazioni. 

Se una decina di anni fa sul mercato erano gli ansiolitici a far la parte del leone, adesso lo sono gli antidepressivi, definiti anche “pillole della felicità“. Anche il rapporto dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) mette in evidenza un l’incremento del loro consumo. pillole di felicitàPer quel che attiene gli SSRI come la “Fluoxetina”  il dibattito è ancora aperto con  pareri discordanti sulla loro effettiva utilità rispetto agli eventuali effetti collaterali. Molte ricerche sottolineano che se vi è una certa predisposizione genetica alla depressione, lo stesso discorso dovrebbe valere anche per i benefici degli antidepressivi ed i loro effetti secondari. Alcune persone hanno tratto giovamento solo all’inizio della terapia farmacologica mentre non ne hanno avuto successivamente. Lo stesso discorso vale per alcuni antidolorifici  avendo avuto un iter molto simile agli psicofarmaci.

C’è chi sottolinea l’effetto placeboC’è chi muove accuse alle case farmaceutiche che per ragioni d’interesse, fin troppo spesso nascondono dati sperimentali riguardo i limiti e la loro effettiva efficacia che non si manterrebbe nel tempo. Oppure il pericolo, per chi li ha assunti in giovane età, di comportamenti auto ed etero lesivi e rischio suicidario in età adulta. 

Importante per qualsiasi sindrome è la diagnosi. Il primo referente al quale ci si rivolge per parlarne, generalmente è il medico di famiglia, che talvolta però, non invia il paziente al collega specialista. O, per i più disparati motivi, non gli prescrive quegli esami necessari per escludere disturbi di altra natura. Così si tende a prescrivere antidepressivi anche in presenza di disturbi dell’umore transitori o lievi o che si manifestano in seguito a sindrome da dolore cronico o reumatico, problemi tiroidei, variazioni ormonali in menopausa, andropausa ecc. Tali disturbi dovrebbero essere curati con una terapia mirata e più efficace quando va a “aggiustare” gli organi disfunzionali  evitando un intervento tout court sull’apparato psichico.

Tornando alle sensazioni che la persona prova quando assume antidepressivi del tipo SSRI, nella mia esperienza clinica ho notato che alcuni hanno la tendenza ad un eloquio, un atteggiamento, gesti e comportamenti un po’ sopra le righe rispetto al contesto. Alcune lamentano una percezione dell’ambiente ovattata e con conseguente esame di realtà alterato.images (28)

Coloro che sono caratterizzati da una Personalità con tratti paranoidi ha la tedenza a “dimenticare”  e interromperne l’assunzione specialmente quando questa forma di terapia è stata una scelta obbligata o imposta, associandola all’idea dello psicofarmaco o dello psichiatra, alla malattia mentale ed alla “pazzia”. Altri, caratterizzati da tratti ansiogeni, tendono invece ad aumentarne la dose perché preferiscono quello stato di larvata inconsapevolezza, sentendosi incapaci di affrontare e risolvere quella loro condizione con l’impegnarsi con la psicoterapia, che necessita di maggior tempo ma che numerose ricerche hanno dimostrato risultati positivi a lungo termine rispetto all’ingoiare una pillola.
Altri ancora, li alternano o li associano ad alcool o droga, forse ignari o non adeguatamente avvisati dei gravi rischi che corrono. Questo avviene in molti ambienti e non solo nel jet set per sentirsi sempre al top, come
 fanno molti artisti che sembra vogliano ricreare quella euforica emotività creativa che li aveva resi famosi agli inizi della carriera. Adesso devono fare i conti con dei farmaci che li possono “appiattire” emotivamente. In tal modo, purtroppo, nonostante la notorietà, si ritrovano da soli ed invischiati in questo circolo vizioso che si risolve fin troppo spesso con morte per overdose.

            

In tutto questo, comprovate ricerche scientifiche in ambito psicologico, mettono in evidenza una rilevante significatività nei risultati di quanto la psicoterapia da sola o associata ai farmaci, riesca ad ottenere esiti migliori e a lungo termine, talora permanenti, rispetto alla sola assunzione farmacologica nel risolvere il disturbo. Il punto essenziale che è emerso è dato da quell’alleanza che s’instaura fra lo psicoterapeuta ed il Cliente nella relazione terapeutica e la Persona non è più sola ad affrontare il problema.

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60 Comments

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